STUDIO SOLIGO
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Tra i catalizzatori più rilevanti e interessanti per scoprire e misurare il polso della situazione artistica di Roma troviamo, fino a tempi recentissimi, le gallerie d'arte private. In questo senso la galleria è stata un luogo privilegiato, che si è affiancata ai musei e alle sedi pubbliche di esposizione, come occasione di un rapporto interpersonale che solo in un ambiente più raccolto e disponendo della continuità degli incontri si poteva instaurare.A tal proposito, nell'agosto scorso abbiamo intervistato il titolare di una delle più attive gallerie d'arte contemporanea di Roma, Francesco Soligo, che ha rappresentato per quasi trent'anni, dal 1969 al 1998, tanti artisti che hanno contribuito a costruire la storia dell'arte recente. Quanto scriviamo è oggi una testimonianza rara e preziosa, giacché il gallerista romano ci ha lasciati prematuramente l'11 aprile 1999, all'età di soli 52 anni. Come tale la offriamo alla moglie e ai figli, che coraggiosamente continueranno il lavoro cui Soligo si è dedicato appassionatamente, operando scelte circostanziate e a volte problematiche. Scelte che hanno portato alla creazione di una realtà culturale che fin dai primi momenti si è inserita negli spazi "storici" della città, offrendo un grande contributo all'arte italiana.Soligo ha aperto ufficialmente con una mostra di Giulio Turcato seguita subito da una di Mario Schifano, allora uno dei rappresentanti di spicco della "Scuola di Piazza del Popolo". La Galleria Soligo, da sempre situata in Via del Babuino 51 a Roma, si è posta così fin dall'inizio nel filone sperimentale di quanti sostenevano che le modifiche sostanziali vissute dall'arte in quegli anni non portavano alla morte di ogni forma espressiva, ma al contrario contenevano i germi di un nuovo modo di essere e di indagare il mondo 01. L'ambiente romano del periodo, inoltre, favoriva gli incontri e gli scambi tra intellettuali. Rammentiamo qui le innumerevoli feste e cene, spesso improvvisate, negli studi degli artisti in via Margutta e nelle case delle principesse romane, da Romana Adami a Marta Marzotto, fino al barone Franchetti; veri e propri cenacoli dove il mondo dell'arte si riuniva. Vi si incontravano il poeta, il pittore, l'attore, o molti registi cinematografici. Perfino in alcune osterie, come quella di Naride e Cesare Menghi, si incontravano regolarmente Mafai, Consagra, Omiccioli, Corpora, Scarpitta, Leoncillo, Carla Accardi col marito Totò Sanfilippo e Turcato. Così come "Da Cesaretto", frequentata, tra gli altri, da Sandro Penna, Achille Perilli e Gabriele Baldini 02.Soligo è stato testimone di questo clima fin da ragazzo, quando passava per lo studio di Afro, amico di famiglia, e vi trovava una festa a inviti spontanei, o di Turcato, dove si erano riuniti Dorazio, Corpora, registi e attori. E nel suo modo di essere ha cercato di assorbire gli elementi di novità dell'epoca e li ha convogliati, fortunatamente non unico a Roma, nella sua galleria, creando un cenacolo di intellettuali che ha nutrito quattro generazioni di artisti, a lui legati da un rapporto di amicizia e stima reciproca. All'inizio furono infatti Corpora e Afro a presentargli l'uno Dorazio, l'altro il pittore genovese Emilio Scanavino, consigliandolo affettuosamente nei primi passi da gallerista. Una volta conosciuto Schifano, poi, che gli presentò a sua volta Festa e Angeli, Soligo scelse di seguire la via dei giovani, suoi coetanei, per un rapporto paritario di scoperta dell'arte, nella prospettiva di un lavoro comune. Un lavoro che si è svolto prevalentemente con i pittori, giacché Roma - ci ha spiegato Franco "è sempre stata afflitta, purtroppo, dall'isolamento volontario di ogni gallerista rispetto ai colleghi, in una ricerca parallela e solitaria pur nel rispetto e nella stima reciproca". Al rapporto personale e di collaborazione con gli artisti, di contro, il mercante romano è rimasto fedele fino ad oggi facendone un parametro fisso di interlocuzione e di dialogo, al punto da non indirizzare la galleria verso una linea particolare, ma solo verso l'area della pittura d'avanguardia, con una predilezione, quindi, per l'arte aniconica.Il suo criterio di scelta degli autori da trattare si è sempre basato sulla corrispondenza tra la persona e le motivazioni interiori dell'opera. L'incontro con Giulio Turcato ne è un esempio. Quell'uomo di intelletto continuoª lo ha coinvolto infatti nel gioco della pittura, suggerendo continuamente nuovi spunti e significati. Da questo incontro nacque un'amicizia profonda che convinse la diffidente moglie del pittore, Vana Caruso, a lasciarlo viaggiare da solo con il gallerista, pur esortando caldamente quest'ultimo a limitare gli eccessi del bere e del fumare del consorte.Riguardo al rapporto tra artisti, invece, aneddoti ormai famosi ci raccontano il clima che si viveva solo vent'anni fa. Sempre Turcato, per esempio, era convinto che una volta, a Venezia, Emilio Vedova, suo compagno d'accademia e acerrimo rivale, avesse pagato due figuri per buttarlo in un canale, mentre con tutta probabilità era stato Turcato stesso che, in preda ai fumi dell'alcol, vi era caduto da solo. Allo stesso modo rimase famosa la storia di Afro che aveva lasciato il suo studio ai due pittori veneti, ritrovandolo poi come un campo di battaglia, tra una poltrona Frau distrutta, perché ne avevano usato la pelle per ripararsi le scarpe, e il water otturato dai tubetti di colore. Erano storie di apparenti gelosie e rivalità nutrite più da scherzi goliardici che da una reale ostilità professionale. Come è accaduto - altro aneddoto divertente - ad Aldo Mondino in occasione della sua prima mostra a "La Salita" di Liverani, quando all'inaugurazione trovò i suoi quadri spostati in strada perché considerato un intruso dagli artisti della galleria. All'epoca, il confronto-scontro si articolava sul piano prevalentemente culturale e tecnico, nato da lunghe discussioni negli studi, per un consapevole rinnovamento del linguaggio. Oggi, invece, una ancor più forte competizione tra colleghi si unisce all'isolamento volontario dovuto anche a radicali cambiamenti del "sistema": la crisi delle gallerie e lo sviluppo televisivo del mercato. La fase della Scuola di Piazza del Popolo, arricchitasi nel tempo con le presenze di Renato Mambor e Cesare Tacchi, proseguì con la seconda generazione di pittori con cui Soligo propose diverse novità di ricerca: già nel 1976 presero parte alla sua cerchia Costantino Marino e Nicola Maria Martino, che gli erano stati presentati da Montanarini, allora direttore dell'Accademia di Belle Arti di Roma. Martino, con la sua particolare poesia visiva e le affinità di carattere, fu più vicino al gallerista romano presentandogli alcuni suoi allievi, tra i quali Alberto Parres, autore che Soligo segue tuttora nell'evoluzione della ricerca, improntata su un tipo di gestualità che recupera in chiave pittorica tendenze postinformali sulla scia di una personale riflessione.Un'altra presenza che lavorava nella galleria è Cesare Berlingeri, introdotto nel 1978 da Ciccio Alliata, nobile siciliano che lo ospitava nelle serate culturali a Monreale. Berlingeri, all'epoca, usava una pittura alla Tàpies, ma già in quelle opere, concepite come piccoli progetti tela su tela giocati sulle trasparenze, si intravedevano gli sviluppi futuri, consolidatisi, poi, con le famose "Piegature" in chiave più concettuale. Successivamente, con Esteban Villalta Marzi, si aggiunse alla linea della galleria una ricerca espressiva permeata da un cromatismo molto acceso che utilizzava, per fotografare la realtà contemporanea, il linguaggio stilizzato dei Cartoons, in una sorta di Pop Art tutta italiana. Durante gli anni Ottanta il nuovo gruppo trovò nello Studio Soligo quel punto di aggregazione che era progressivamente mancato nei salotti della capitale. Nel frattempo continuò anche l'attività espositiva di Schifano, Angeli e Festa (di cui Soligo ha curato l'archivio storico) e i maestri della generazione precedente. In questo decennio persisteva ancora la curiosità del pubblico e resisteva l'evento ëinaugurazione', riunendo artisti, personaggi conosciuti, fotografi, critici, giornalisti specializzati. E' negli anni Novanta, invece, che si è avvertito maggiormente il declino della "cultura" della galleria in quanto tale. Pur in questo clima di difficile transizione, Soligo ha inserito nel suo gruppo un altro pittore, Fabrizio Campanella, che ha proposto un'ulteriore concezione della forma in un'opera strutturalmente e cromaticamente calibrata, nel vigore prorompente di ritmi visivi sinesteticamente affini alla musicalità.
Laura Turco Liveri